Precari... da manuale
L'immagine che i Media ci hanno restituito dei giovani precari (cioè di noi stessi) in questi anni è stata spesso contaminata dalla "Sindrome del Confessionale", quella strana forma di virus i cui sintomi più evidenti sono: tendenza all'autocommiserazione, tendenza all'autoreferenzialità e tendenza all'autoprivazione di qualsiasi responsabilità, individuale e collettiva, nella speranza che sia il Televoto - cioè qualcun altro - a cambiare per sempre il proprio destino. Forse perché i giovani precari intraprendenti e dinamici (che ci sono), o quelli ottimisti e autoironici (che ci sono) non sono così facilmente rivendibili sul mercato dell'audience e non sono sufficientemente "mostri da prima pagina".
La Rete, però, fortunatamente non ragiona solo in termini di audience e "mostri in prima pagina", e capita così di trovare spunti e stimoli decisamente diversi da quelli proposti dal mainstream, come nel caso del Manuale del Giovane Precario, una sorta di sit-com prodotta da Bonsai TV e distribuita su Yalp! che punta a rovesciare il luogo comune benpensante del "bamboccione tutto piagnistei e fancazzismo" smitizzandolo con una buona dose di humor e sarcasmo.
Si tratta di una serie di videoclip dedicati agli aspetti più proverbiali dell'essere precario, dall'affitto alle prospettive, dall'assunzione alla fuga dei cervelli, accompagnati da consigli pratici e spunti di divertimento e di riflessione. Per rendervi l'idea, vi propongo di seguito l'episodio dedicato alla flessibilità: se vi piace, trovate tutti gli altri in questa pagina.
Perché, non dimenticatelo, si possono prendere terribilmente sul serio i propri problemi anche senza prendere terribilmente sul serio se stessi...
Rossella
6 Comments:
Tratto da: http://ilsecoloxix.ilsole24ore.com/p/italia/2009/06/12/AMxaC8eC-bassi_investimenti_cultura.shtml
Bassi investimenti, poca cultura
12 giugno 2009 | Giuseppe Lo Nostro
Il consorzio AlmaLaurea ha presentato il suo Rapporto, che quest’anno raccoglie i profili e gli esiti occupazionali dei 190 mila laureati del 2008 di 47 Atenei italiani. Solo Malta, Lettonia e Romania spendono meno di noi in Europa
Il consorzio AlmaLaurea ha presentato il suo Rapporto, che quest’anno raccoglie i profili e gli esiti occupazionali dei 190.000 laureati 2008 di 47 Atenei italiani, all’indomani della Conferenza di Lovanio dei Ministri dell’istruzione dei 46 paesi europei aderenti al Processo di Bologna, nato nel 1999 per rispondere all’esigenza di avere in Europa Università capaci di preparare i cittadini a svolgere i rispettivi compiti all’interno di quella che, sempre di più, è una società della conoscenza. In quell’incontro i ministri avevano ribadito che «gli obiettivi individuati dalla Dichiarazione di Bologna e le politiche elaborate negli anni successivi rimangono validi». Ma, per descrivere lo stato di arretratezza generale rispetto a quei traguardi, avevano dovuto ricorrere alla pietosa formula del «non tutti gli obiettivi sono stati completamente raggiunti» e spostare di un decennio il traguardo, inizialmente fissato al 2010. Naturalmente riconoscendo in coro «che gli investimenti pubblici nell’istruzione superiore costituiscono un’altissima priorità per i nostri governi».
Ma se per gli altri Paesi tali investimenti sono un’altissima priorità, per l’Italia, il raggiungimento di una più elevata soglia educazionale media è un prerequisito indispensabile per poter partecipare da protagonisti alla “società della conoscenza”.
Ma è poi questa la vera intenzione? Perché se dovessimo prendere spunto dal becerume diffuso, che ormai pervade anche le campagne elettorali, o dalla critica generalizzata al sistema universitario italiano, che da giustamente severa si è fatta via via gratuitamente denigratoria, o dai tagli, che progressivamente vengono praticati all’istruzione universitaria, verrebbe da dubitarne. E verrebbe da pensare che, a nostra insaputa, qualcuno ha magari deciso una divisione internazionale del lavoro, in cui all’Italia è toccato un ruolo ancillare. Che poi, per carità, potrebbe anche essere la scelta giusta.(1parte - continua)
12:13
2a parte- In fondo chi l’ha detto che noi si debba per forza primeggiare nella società della conoscenza, sul terreno dello sviluppo, dell’innovazione e della ricerca? Lo abbiamo fatto per cinque secoli, potremmo anche effettuare qualche turno di riposo e lasciare spazio agli altri. Però allora diciamocelo chiaramente. Così, invece di “Qualità nei sistemi industriali”, tengo un bel corso di “Tubi e strutture per lap dance” e consiglio a mia nipote di imparare l’ikebana e la Cerimonia del tè.
Se invece l’intenzione è ancora quella di competere nei settori della conoscenza, dell’innovazione e della ricerca, allora bisogna che ci diamo una regolata. Perché possono contarcela su finché si vuole, ma c’è un dato inconfutabile che segnala l’insufficiente impegno del Paese in questa direzione e che il Rapporto di AlmaLaurea riporta: la spesa pubblica nel campo dell’istruzione universitaria. L’Italia vi destina solo lo 0,78% del Pil, contro l’1,02 del Regno Unito, l’1,16 della Germania, l’1,21 della Francia, l’1,32 degli Stati Uniti, il 2% dei Paesi scandinavi. E fra i 27 paesi dell’Ue, ci sono solo Malta, Lettonia e Romania che spendono meno di noi in istruzione.
Così accade che, fra i nostri giovani, la percentuale di laureati sia inferiore a quella di tutti i nostri diretti concorrenti. Se non ci muoviamo in fretta la sconteremo, e allora puntare alla ripresa economica e alla competizione internazionale nei settori scientifici e tecnologici resterà solo un pio desiderio. O un proclama politico.
In realtà il Rapporto parla di una crescita significativa dei nostri laureati, aumentati in media di oltre il 70% dal 2001 al 2008. Peccato che si scopra che si tratta di un incremento asimmetrico, molto basso in alcuni gruppi disciplinari (chimico-farmaceutico, scientifico e ingegneria), ed elevato solo fra i laureati dei gruppi “insegnamento”, “politico-sociale” e “psicologico”, dove supera il 250%.
Più rincuoranti invece le notizie sui laureati di origine sociale meno favorita: nel 2004 erano il 20,5%, quattro anni dopo sono diventati il 23%. Come incoraggiante è il fatto che, finalmente, le conoscenze linguistiche e informatiche siano in netto miglioramento.
Purtroppo, fra le ombre del Rapporto, si annida ancora la discriminazione di genere. Già a un anno dalla laurea essa penalizza le donne di 10 punti percentuali in termini di occupazione e di 25 in termini di retribuzione. Questo anche per colpa di quella minoranza che, con un uso scorretto delle tutele previdenziali relative alla maternità, danneggia il sistema e le altre donne, ma soprattutto per il permanere di stereotipi che condizionano le scelte formative e provocano una sotto-rappresentazione delle donne in settori cruciali per lo sviluppo economico e usualmente ben remunerati.
12:17
3a parte- Indipendentemente dal genere, e anche considerando i successivi sviluppi di carriera, gli stipendi netti mensili dei neodottori specialisti non sono certo esaltanti: 1.178 euro in media, con un massimo di 1.320 nei gruppi economico-statistico e ingegneria, e un minimo di 900 euro nei gruppi psicologico e letterario. Oggi è un brutto momento per parlarne, ma, appena fuori dal tunnel, occorrerà affrontare il problema.
L’unico neo del Rapporto è che non comprende nessuna Università della Lombardia, né le Università di Pisa, Napoli, dell’Insubria e di Palermo. Ciò esclude dall’indagine di AlmaLaurea oltre 60.000 laureati all’anno, in molti casi provenienti da strutture prestigiose, soprattutto nel settore scientifico tecnologico, quali il Politecnico di Milano e la Scuola Superiore di Studi Universitari e Perfezionamento S. Anna di Pisa. Il motivo è che 12 Atenei, per un totale del 23% dei laureati italiani, hanno preferito fornire i propri dati a un altro Consorzio interuniversitario, il Consorzio Cilea. Che coordina, dal 2002, il progetto interuniversitario Stella (Statistiche sul Tema Laureati & Lavoro - http://stella.cilea.it) e che ha le stesse finalità di AlmaLaurea. Nonostante ciò, il Rapporito fornisce un quadro affidabile, scomponibile per Ateneo, Facoltà e corso di laurea. Un documento imperdibile per chi, tra poco, dovrà sciogliere i dubbi di una scelta universitaria.
Se poi i dubbi riguardassero l’utilità della laurea ai fini occupazionali, nel Rapporto (e negli altri documenti) si trova una rassicurante conferma: al crescere del livello di istruzione, cresce in media anche l’occupabilità. Questo perché chi dispone degli strumenti culturali e professionali adeguati è in grado di reagire meglio agli ormai rapidissimi mutamenti delle conoscenze e del mercato del lavoro. Così, in media, il “dottore” ha un tasso di occupazione di 11 punti maggiore e, a parità di classe di età e guadagna il 65% in più di chi possiede un diploma di scuola secondaria superiore.
12:17
Quello che, assieme ad un collega laureato, abbiamo scritto sul Corriere delle Sera in risposta a un "povero" neo laureato alle prese con il mondo del lavoro italiano:
Sono un giovane laureato che, a 10 anni dalla laurea, vorrei provare a rispondere a XXXXXXXX.Il mondo del lavoro non è tenero con i laureati (e per alcuni è persino precluso). La mia esperienza a 10 anni dalla laurea (e un master MBA): anch'io ho avuto difficoltà a trovare lavoro: alcune volte mi sono adattato arrivando a fare il parcheggiatore, il cassiere e il custode. Lavori degnissimi ma non adatti alla mia formazione. Ho assistito a test di selezione che sono durati giorni per selezionare stagisti non retribuiti e senza possibilità di assunzione (ma pur di lavorare, ci si fa selezionare per lavorare gratis!)Dopo 10 anni e un lavoro normale (con lo stesso stipendio di colleghi soltanto diplomati e minore del 30% rispetto a quello che mio padre aveva a parità di anzianità lavorativa) posso constatare che i 5 anni di laurea (materie economiche) sono stati inutili. Anzi sono stati anni ... persi ai fini contributivi! Consiglio a Paolo di provare con un periodo di lavoro all'estero perchè l'Italia offre poco ai laureati.
21:01
Io non ho ancora capito cosa è meglio, se l'autoreferenzialità o l'ottimismo!
Sto per compiere un anno di ottimismo e i risultati un pò scarseggiano...........
In ogni caso, seguo con attenzione il blog. In più scrivo con degli amici un blog che parla di lavoro.
Fate un salto!
http://thelovemyjobblog.blogspot.com
Ciao
23:26
la percentuale di laureati inferiore agli altri paesi europei vorrebbe dire che non puntiamo abbastanza sull'economia della conoscenza. diciamocela tutta siamo e sempre saremo una economia delle "conoscenze" ....più istruiti, più occupabili? macchè..la qualificazione formativa a tutti i costi conta ben poco: la pratica insegna che è meglio la gavetta-stage da subito che uno o più master con gavetta-stage (ugualmente non pagato o mal retribuito) dopo 1 o 2 anni!
poi per non parlare dello schifo del lavoro impiegatizio-pseudo manageriale (per non parlare della fatica di aver beccato una buona occasione, in linea con i tuoi studi, bla bla bla)..tutto il marcio che sei costretto a subire da il volta stomaco che ti chiedi ma non è meglio mettersi a servire mojito nei bar ....almeno ti diverti di più e non guadagni neanche tanto male? eh ragazzi? che ci sia una rivoluzione in atto? che stia maturando una nuova concezione del lavoro? al di là dello status e dei cliché?
00:30
Posta un commento
<< Home